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Mercoledì, 02 Agosto 2006 16:34

Intervista ad Arnaldo Nesti sul “Festivo”

Scritto da  Gerardo

In vista dell’avvio della Summer School, abbiamo posto al prof. Nesti alcune domande sul festivo.
La prima di queste meritava una risposta a parte e così iniziamo da questo intervento sulla domanda capitale: Perché occuparsi della festa?

In questa stagione confusa e violenta la domanda che molti si possono fare è proprio la seguente: perché occuparsi della festa.
A parte molte altre ragioni mi si permetta di dare una mia risposta. Alla base dei miei interessi per i fenomeni connessi con la festa, e non da oggi, sta l’interesse per la festa come fenomeno popolare e per il suo nesso con l'utopia. La festa è una singolare spia del vissuto collettivo. Dalla festa religiosa al Carnevale, alle grandi feste civili, la festa, più che la ratifica del mondo esistente, rinvia, in modi diversi, ad altro che non è.
In questi miei anni di pervadente cultura di massa è ritornante la tendenza a considerare il popolo come un termine vacuo, sfuggente. So bene della diffusa serialità, degli ingranaggi che tendono a rendere unidimensionale il mondo e la società. Ci vogliono molti ragionamenti, molti passaggi, per recuperare, specialmente in Occidente, il popolare come soggetto-referente della controcultura, della storia alla rovescia, come depositario di una razionalità altra.
Fra i libri che mi hanno attratto dopo la passione gramsciana, devo ricordare il lavoro di Furio Jesi l’indagatore dei miti, amico di Kèrény. Mi ha al riguardo interessato il suo contributo per capire, in modo particolare, il fenomeno della rivolta. Jesi mette in crisi la concezione marxiana della storia: lo specifico della rivolta nella sua radicale differenza dalla rivoluzione, sfugge alle maglie della spiegazione storico-dialettica. È soprattutto la scarsa considerazione della simbologia del mito a privare la visione marxista dell’azione politica di quel potenziale esplicativo che invece la mitologia, con i suoi simboli, può sviluppare. L’agire politico ha bisogno di trovare rappresentazione, di coagulare in un’idea, nella parola o nel gesto che la esprimono, in un progetto. E il mito ha essenzialmente questa funzione sia come mito fonte che come mito-strumento, secondo la precisazione di Jesi che riprende le distinzioni di Kèrény tra mito genuino, veritativo e mito strumentale, tecnicizzato. La rivolta è un improvviso scoppio insurrezionale che di per sé non implica una strategia a lungo termine, la rivoluzione invece è un complesso strategico movimento insurrezionale coordinato e orientato a scadenza relativamente lunga verso gli obiettivi finali. In altre parole mentre la rivoluzione è interamente calata nel tempo, la rivolta sospende il tempo storico e instaura un tempo in cui tutto ciò che si compie vale di per se stesso, hic et nunc. In altre parole Jesi contribuiva a delineare un illuminante itinerario transdiscilinare per cogliere il legame dell’agire politico con la sua rappresentazione connettendo teorie politiche, letteratura, teologia, invitando ad analizzare la dinamica dell’uomo coi suoi miti e la storia della sua cacciata dal “paradiso degli archetipi”, senza dire dello scontro fra mito e alterità questa connessa con il deus absconditus ebraico-cristiano (ma anche sciita) (Di qui lo scontro fra mito come fabula che non da salvezza e la storicità del mysterion.).
Questa premessa per dire che il festivo, comunque è uno dei più suggestivi e tormentanti temi della vita, per capire come va il mondo.

A diverso titolo, vorrei aggiungere che l'interesse per il festivo è partito in area latino americana e poi sviluppata in Spagna a contatto con la Settimana Santa di Siviglia.
Il festivo popolare spagnolo mi ha indotto a correlare la musica, i colori, i fiori, le stagioni, la corporeità. Lo stesso festivo religioso ha una vitalità e coagula energie spesso coperte, rimosse, in altri contesti dello stesso sud italiano.
(continua)
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